di Lapenna Daniele
Di solito, però, sono perlopiù lavoratori "indiretti": le multinazionali ottengono i loro prodotti da aziende terze localizzate in nazioni dove è più facile sottopagare i lavoratori, come in sud America (Argentina, Perù) o nell' estremo oriente (Cina, Vietnam, Cambogia). Potete riscontrarlo voi stesso leggendo le etichette dei prodotti di grandi marche: se non troverete "Made in Italy" ma, ad esempio, "Made in Vietnam", probabilmente quel capo ha visto lo sfruttamento di un lavoratore.
Oggi, invece, parliamo di quel che succede in
Cambogia.
NIKE: DALLO SFRUTTAMENTO DEI MINORI
A QUELLO DEGLI ADULTI
La famosissima multinazionale
Nike nata nel 1964 negli
Stati Uniti, nonostante il
fatturato di 35 miliardi annuo, permette e ha permesso lo
sfruttamento di minori e permette ancora lo sfruttamento di lavoratori adulti.
Dopo aver abbandonato la Cambogia a causa di accuse in merito all' utilizzo dei bambini per produrre prodotti a marchio Nike, la multinazionale riaprì nuove fabbriche, sempre con la gestione a terzi (che, legalmente, permette di addossare le responsabilità sui proprietari di queste fabbriche che producono per Nike).
Nonostante Nike si difese sostenendo che i suoi fornitori cambogiani impiegavano ragazze sopra i 16 anni, fu messa alla gogna dall'inchiesta di una tv americana che riuscì a filmare fabbriche dove lavoravano eserciti di bambine.
Nel 2002, Nike decise di non impiegare più minori nelle fabbriche vigilando sulle stesse.
L' ASSURDA SITUAZIONE
Nella Cambogia, più dell' 80 per cento delle esportazioni proviene da questo settore, e l' industria tessile dà lavoro a 180.000 operai, per lo più donne e ragazze fuggite dalle campagne a causa della povertà. Queste, lavorano per spedire a casa i loro salari e mantenere le famiglie rimaste in campagna nella più incredibile povertà.
A questo punto si innesca un sistema che venne evidenziato dopo le lotte degli attivisti per i diritti dei lavoratori locali: si sostenne (e si sostiene) che senza multinazionali americane, la nazione si impoverirebbe e lo sfruttamento minorile continuerebbe lo stesso.
In pratica, togliere queste grosse aziende farebbe ritornare i lavoratori nelle campagne, nella povertà, mentre la presenza delle stesse, proseguirebbe a portare guadagni in più i quali però non permetteranno mai di risollevare dalla povertà le famiglie ma solo di far aumentare i guadagni alle multinazionali.
Alla fine, sono stati i sindacati statunitensi a trovare una via d'uscita: la potente
confederazione Afl-Cio (F
ederazione Statunitense del Lavoro) insediò in Cambogia un rappresentante permanente per premere sul governo e sugli industriali cambogiani. Al tempo stesso, i vertici del sindacato, aumentarono i controlli nelle fabbriche per rilevare la situazione dei lavoratori. Tutto risolto? Macché!
I controlli non hanno permesso di fermare la piaga dei lavoratori pagati sistematicamente sotto il minimo legale, di seguire orari massacranti per il ricorso costante a straordinari senza limiti. I sindacalisti di questi Paesi poveri hanno dovuto subire anche violenze durante le manifestazioni, venendo anche arrestati.
SVENIMENTI IN MASSA NELLE FABBRICHE
NIKE, ASICS E PUMA
Un' altra multinazionale che ha fabbriche in Cambogia e in altre nazioni povere è la giapponese
Asics, oltre a
Nike,
Puma (del gruppo francese Kering ma con sede in Germania) e la statunitense
VF Corporation.
Un’inchiesta pubblicata a giugno 2017 su The Observer, mostrò che, nel 2017,
più di 500 dipendenti di quattro diverse fabbriche che producevano per queste multinazionali, furono
ricoverate in ospedale.
L’episodio più clamoroso avvenne nel novembre 2016 quando nell’arco di tre giorni svenirono 360 operaie in una fabbrica che produceva scarpe da ginnastica per la Asics, nella provincia di Kamong Speu. Altre 150 lavoratrici persero conoscenza in un laboratorio di prodotti Puma dopo che lo stanzone si riempì di un denso fumo. In una fabbrica della Nike, invece, svennero 28 operaie mentre cercavano di fuggire da un incendio.
La causa degli incidenti fu imputata alla mancanza di ventilazione, che sottolineò la fatiscenza dei luoghi di lavoro, e l’uso di prodotti chimici tossici infiammabili.
Le condizioni di lavoro vedono donne (cucitrici di scarpe e abiti) impiegate per 10 ore al giorno, per sei giorni a settimana, in ambienti senza ventilazione, alla temperatura ambientale di 37 gradi, affamate e stanche dacché spesso non possono fare pause, con la paga mensile di 170 euro quando il salario minimo mensile, in Cambogia, è di 340 euro. La metà di quel che dovrebbero prendere.
Le oltre 700.000 donne impiegate in questo settore accettano queste condizioni perché sono divenute indipendenti anche dai loro mariti ed hanno migliorato la loro condizione di povertà in cui versavano in precedenza. Certamente, se le multinazionali hanno fatturati milionari, potrebbero tranquillamente migliorare le loro condizioni di lavoro oltre che aumentare i salari.
Sono troppe le nazioni dove, ancora oggi, prosegue lo sfruttamento di adulti e bambini: dalla famosa Coca Cola, sino alla Philip Morris che impiega bambini di 10 anni nelle proprie piantagioni di tabacco,
sino ad altri famosi marchi.
FONTI E LINK UTILI
E' difficile pensare che tantissime persone non conoscono o fingono di non sapere
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