Giornalisti sotto scorta:la mafia continua a minacciare,ma il loro grande lavoro non si ferma

da sinistra, i giornalisti
Nello Trocchio, Paolo Borrometi e Federica Angeli
di Lapenna Daniele

#mafia #giornalisti #inchieste #clanmafiosi

Ci sono tanti tipi di giornalisti: quelli etichettati come fastidiosi e inopportuni, quelli pacati e quieti, e quelli che non si arrendono nel loro lavoro, anche quando stanno rischiando la vita.

Ci è voluta una minaccia da parte di certi mafiosi per ricordarci che ci sono tanti giornalisti, in Italia, che vivono con la scorta rischiando, ogni giorno, di non tornare a casa vivi.
Si tratta di giornalisti che fanno inchieste scomode, che smuovono quella merda con la quale molti, dalla politica ai lavoratori pubblici e privati, ci fanno affari da decenni: la mafia.

LA VIGLIACCHERIA DEI MAFIOSI: BORROMETI, "LA SPIA"
Nato a Ragusa il 1º febbraio 1983, Paolo Borrometi vive sotto scorta dal 2014 a causa di continue minacce per le sue inchieste sulla mafia palermitana. Il 16 aprile del 2014 fu aggredito da uomini incappucciati: la violenza gli provocò una grave menomazione alla mobilità della spalla
Nel 2013 ha fondato la testata giornalistica La Spia sulla quale pubblica, grazie anche al lavoro della sua squadra, inchieste sulla corruzione e mafia in Sicilia.
Nel 2017 subisce un furto nella sua abitazione: spariscono dei documenti e un hard disk.

Le indagini di Borrometi sulla criminalità organizzata indagano i lati oscuri del siracusano e del ragusano: dall'azienda commissariata per mafia Italgas, ai trasporti su gomma gestiti dalla malavita nel mercato ortofrutticolo di Vittoria, fino alla "via della droga", il percorso sospetto dei corrieri che collega il porto di Gioia Tauro fino alla provinca di Ragusa. 

In questi giorni, le intercettazioni (risalenti al gennaio scorso) tra il boss di Cosa Nostra della provincia di Siracusa, Salvatore Giuliano, e un altro membro dell'organizzazione, Giuseppe Vizzini: «Fallo ammazzare, ma che cazzo ci interessa» parlano, riferendosi a Borrometi, proseguendo «Lo sai che ti dico? Ogni tanto un morto vedi che serve… Per dare una calmata a tutti. C'è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli».  In un' altra intercettazione Giuseppe Vizzini fa nuovamente riferimento a Borrometi, con altre minacce.
Sul sito del giornale, LaSpia.it, potete leggere le vecchie e recenti inchieste


A FACCIA A FACCIA CON LA MAFIA
Anche se è difficile pensarlo, ma sono tanti i giornalisti sotto scorta per via delle loro inchieste.
Nello Trocchia, nato a Nola nel 1982, scrive per il Fatto Quotidiano e per la trasmissione Nemo di Rai2. Anche lui è stato minacciato da un boss, direttamente dal carcere.
Si è occupato di inchieste sul clan mafioso dei Casalesi e il traffico illegale di rifiuti in Campania. Durante un’intercettazione del giugno 2015, il camorrista, in una chiamata al fratello esclama «Al giornalista devo spaccargli il cranio».
Per il programma Nemo, nel 2017, realizzò un servizio sulla mafia Foggiana mostrando la loro crudeltà: nonostante sia meno conosciuta di quelle siciliana e campana, le azioni dei mafiosi pugliesi sono ugualmente spietate. Anche lui subì un' aggressione.
Ultimo episodio, la richiesta di risarcimenti per 39 milioni di euro inviata dai rappresentanti della Università telematica Pegaso che si è sentita diffamata da una inchiesta pubblicata da L’Espresso.

E poi abbiamo Federica Angeli, giornalista di Repubblica, sotto scorta per aver denunciato l' attività criminale dei boss mafiosi di Ostia, il clan Spada. In questi giorni ha ricevuto una busta contenente un proiettile: una palese minaccia per il suo coraggio contro la mafia ostiense.
Fu nel 2013 quando parlò, per la prima volta, di mafia a Ostia: «Ti sparo in testa se scrivi» fu una delle immediate minacce ricevute. Però la giustizia non è stata a guardare, e infatti  una trentina di persone affiliate al clan furono arrestate per mafia. È in corso un processo ad Armando Spada nel quale la giornalista ha testimoniato dopo le minacce ricevute: non si è tirata indietro, non ha chinato la testa davanti ai mafiosi.
La minaccia ricevuta in questi giorni, però, non la ferma: «Volevate farmi sentire che sono nel mirino? Lo sapevo già. Non c'era bisogno vi scomodaste. Volevate rovinarmi la giornata e farmi tremare lo stomaco? Ok. Bravi. Ma domani passa»

SOTTO SCORTA
Sono quasi una cinquantina i giornalisti italiani costretti a vivere sotto scorta perché ritenuti in pericolo di vita, anche se i numeri ufficiali non vengono resi noti dal ministero dell'Interno. A questi vanno aggiunti gli oltre 2300 minacciati dal 2006 ad oggi con attentati incendiari, lettere con proiettili, telefonate intimidatorie in piena notte e le più subdole cause milionarie.


Il lavoro dei giornalisti non è stato mai facile, basti ricordare ad esempio Carlo Casalegno [Torino, 1916 –1977], vicedirettore de La Stampa, colpito da un commando delle Br nel novembre del 1977 e morto dopo 13 giorni di agonia o Walter Tobagi [Spoleto 1947-1980], inviato del Corriere della Sera, assassinato nel maggio del 1980. Le scorte, a quei tempi, si contavano sulle dita di una mano.

Oggi, ci sono forse cause diverse, ma le minacce sono le stesse: Lirio Abbate, inviato de L'Espresso, da 8 anni sotto scorta dopo l' inchiesta su Mafia Capitale «Quando scavi e scrivi sugli appalti» spiega Abbate «sveli i personaggi che si muovono nell'ombra, i famosi colletti bianchi, finisci per toccare interessi che devono restare segreti. Per motivi di lavoro ho cambiato spesso città. Ma mi sono reso conto che non era tanto il contesto, la singola organizzazione criminale, a provocare la violenta reazione degli intoccabili. Erano i temi. Così è successo per Cosa nostra, così per la 'Ndrangheta e la Camorra. Così per l'inchiesta Mafia Capitale, con Massimo Carminati che si accanisce sulla mia persona».


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