«I boss mi vogliono morto,e qualcuno vorrebbe aiutarli,isolandomi».La denuncia del giornalista Paolo Borrometi,sotto scorta dopo minacce di morte da parte di boss mafiosi

Dalla pagina Facebook di Paolo Borrometi

« Adesso basta, sono stato in silenzio ma davanti alle menzogne devo parlare!

Sono stato in silenzio, con il mio dolore e la mia paura, per tanto tempo, continuando a fare solo il mio lavoro. Ho pensato che il silenzio fosse la migliore delle strade, ma davanti alla falsificazione della realtà non posso che reagire pubblicamente.

Non ho replicato alle parole di chi, difendendo il capomafia Salvatore Giuliano (quello che per gli Inquirenti avrebbe ordinato il mio attentato), mi insultava e tentava di farlo passare come vittima.
Peccato che si dimenticava di dire come Giuliano sia stato condannato per mafia, oltre che per tanti altri reati, e sia stato in galera per oltre venti anni (e che ha un processo per minacce di morte nei miei confronti, tentata violenza privata, aggravata dal metodo mafioso).

Sono stato in silenzio quando un giornale online siracusano (il cui direttore è uscito da poco dagli arresti domiciliari) mi attaccava, pubblicando scritti di un capomafia, Alessio Attanasio, al carcere duro ed in isolamento (come fanno ad averli prima loro dei diretti interessati?).
Sono stato in silenzio, perché io ho fiducia nella Giustizia.
È questo un difetto?
Se fidarmi degli inquirenti e dei magistrati è un difetto, mi accuso: ho questo grande difetto.
Oggi, però, non posso più rimanere in silenzio.

L’ennesimo comunicato stampa di avvocati di pregiudicati, tenta di stravolgere la realtà.
Il Tribunale de Riesame di Catania ha, purtroppo, confermato il tentativo del gravissimo attentato con un’autobomba nei miei confronti e nei confronti della mia scorta.
Addirittura, cito testualmente, si dice che “sono accertati i contatti tra Giuliano ed il clan Cappello” per la realizzazione dell’attentato.
Forse per qualcuno il vero problema è che io non sia ancora morto, che sono vivo e continuo a scrivere.
Non rimango in silenzio questa volta, visto che parliamo non della mia (sola) vita, ma di quella di 5 persone della mia scorta, delle loro famiglie, dei nostri affetti, e non accetto che qualcuno continui con questo “mascariamento”.

Adesso basta.
I boss mi vogliono morto, e qualcuno vorrebbe aiutarli, isolandomi.
Mi affido, ancora una volta, a Voi.
Aiutatemi, aiutiamoci: solo facendo squadra potremo uscire da questo inferno, perché nella nostra Terra i simboli sono tutto e non si può più rimanere in silenzio»

CHI È PAOLO BORROMETI
Nato a Ragusa il 1º febbraio 1983, Paolo Borrometi vive sotto scorta dal 2014 a causa di continue minacce per le sue inchieste sulla mafia palermitana. Il 16 aprile del 2014 fu aggredito da uomini incappucciati: la violenza gli provocò una grave menomazione alla mobilità della spalla

Nel 2013 ha fondato la testata giornalistica La Spia sulla quale pubblica, grazie anche al lavoro della sua squadra, inchieste sulla corruzione e mafia in Sicilia.
Nel 2017 subisce un furto nella sua abitazione: spariscono dei documenti e un hard disk.

Le indagini di Borrometi sulla criminalità organizzata indagano i lati oscuri del siracusano e del ragusano: dall'azienda commissariata per mafia Italgas, ai trasporti su gomma gestiti dalla malavita nel mercato ortofrutticolo di Vittoria, fino alla "via della droga", il percorso sospetto dei corrieri che collega il porto di Gioia Tauro fino alla provinca di #Ragusa.

L' aprile scorso escono le intercettazioni (risalenti però a gennaio scorso) tra il boss di Cosa Nostra della provincia di Siracusa, Salvatore Giuliano, e un altro membro dell'organizzazione, Giuseppe Vizzini:
«Fallo ammazzare, ma che cazzo ci interessa» parlano, riferendosi a Borrometi, proseguendo
«Lo sai che ti dico? Ogni tanto un morto vedi che serve… Per dare una calmata a tutti. C'è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli».

In un' altra intercettazione Giuseppe Vizzini fa nuovamente riferimento a Borrometi, con altre minacce.

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