Alcoa: un disastro da 295 milioni di euro. La società americana riceveva aiuti continui dalla Stato finchè l' UE disse basta



La vicenda dello stabilimento Alcoa di Portovesme è emblematica:
da una parte uno Stato molle, dall’altra il gigante americano che tiene
sotto ricatto l’istituzione pubblica. Che prontamente si piega alle
condizioni imposte della multinazionale. Un ricatto che nel giro di 15 anni
è costato alle casse pubbliche 3 miliardi di euro.
E a pagarne le conseguenze sono loro, i lavoratori.

LA STORIA
per poter essere compresa appieno, va raccontata da principio.
Era il 1967 quando l’Alcoa (Aluminum Company of America) sbarca in Italia.
Ci mette 30 anni, però, per avviare realmente la produzione:
nel ’96 acquisisce la Alumix, una società a partecipazione statale.
Ed ecco il primo aiuto da parte dello Stato. Il contratto prevede una clausola
molto vantaggiosa per gli americani: concessione di tariffe agevolate da parte
dell’Enel. Uno sconto elettrico di cui la multinazionale gode da contratto per ben 10 anni.

Ma non basta. Nel 1999 si decide di introdurre un cambiamento rivoluzionario
nelle nostre bollette: viene infatti introdotta la Componente A4. Una sorta
di tariffa che tutti i contribuenti si trovano a pagare e che pesa per circa
1,5
euro l’anno a bolletta
. La componente per anni è stata
utilizzata per
compensare le aziende ad alto consumo energetico. Ne hanno beneficiato,
tra le altre, la ThyssenKrupp e, appunto, l’Alcoa. Insomma, accanto agli sconti
si è garantito alla multinazionale americana anche un finanziamento cash.

NUOVO RINNOVO DELLO STATO
Si arriva, così, al 2005. I dieci anni delle tariffe agevolate scadono. E lo Stato che cosa fa? Rinnova. Immediatamente. La cosa, però, comincia ad insospettire i commissari
dell’Unione Europea. Che, dopo vari controlli, decidono: l’Alcoa non può continuare
a fare la mantenuta, non può pesare sulle casse dello Stato.
Anche perché – è bene ricordarlo – non stiamo parlando di un’azienda in crisi,
ma del terzo gruppo mondiale, un colosso da 61mila dipendenti nel 2011
e 25 miliardi di dollari di fatturato. Ma niente. L’industria, ancora una volta,
ricatta le istituzioni: o abbiamo diritto a questi finanziamenti o chiudiamo i battenti.
Senza sussidi ce ne andiamo.

La vicenda, ricostruita nel dettaglio da Marco Cobianchi in Mani Pulite, è emblematica.
Ci sono tutti gli elementi per la più classica delle storie: uno Stato spendaccione
che regala e finanzia contro ogni logica e il potente americano che ne approfitta
e finisce col vedere quello che è un privilegio (peraltro ingiustificato) come un diritto.

LA SENTENZA
Ecco, allora, che l’Italia insiste contro i commissari UE i quali sbaglierebbero
a considerare sconti tariffari come aiuti di Stato. Tesi bislacca, dato che gli sconti
sono pagati da una tassa corrisposta da tutti i consumatori di elettricità
in Italia
”. Insomma, un aiuto vero e proprio. Ma l’Italia non si arrende
e torna all’attacco: tali aiuti sono stati necessari perché in Sardegna il costo
dell’elettricità è più alto rispetto al resto del Paese. Falso: nell’isola, addirittura,
il costo sarebbe inferiore dato che c’è una maggiore capacità produttiva
(e, ovviamente, il costo scende). Niente da fare, dunque.
Tanto che la Commissione UE arriva a sentenza:
l’Italia dovrà farsi restituire tutti i soldi di cui l’Alcoa, in 13 anni,
ha goduto: 295 milioni di euro. Ma la multinazionale, come detto, non ci sta:
a queste condizioni lasciamo lo stabilimento, significa. Con buona pace dei lavoratori.

GOVERNO ITALIANO: NUOVO RINNOVO. ALCOA CHIUDE
L’Italia, però, non muove un dito. Non chiede il conto. Anzi, passano solo pochi mesi
e viene messo su un nuovo decreto per l’Alcoa (e non solo, dato che furono tante
le imprese che ne beneficiarono): ancora una volta tariffe agevolate sull’elettricità. Sottolinea Cobianchi: “Nel 2010 questi sconti hanno permesso all’Alcoa di pagare
per un megawattora 30 euro rispetto a un prezzo medio nazionale di 57”.
Un gran bello sconto. La cui data di scadenza – non a caso – cade quest’anno.
Ecco perché l’Alcoa ha deciso di chiudere definitivamente lo stabilimento e,
nel frattempo, si è cominciata a guardare attorno. Come ha ricostruito Il Fatto Quotidiano,
già a dicembre del 2009 è stata siglata l’alleanza con la saudita Ma’aden, per
la costruzione di un enorme sistema integrato di produzione di alluminio
sulla costa orientale dell’Arabia Saudita, con un investimento di circa 11 miliardi di dollari.

fonte
http://www.infiltrato.it/notizie/italia/alcoa-disastro-da-295-miliardi-i-rischi-nuovo-ricatto-e-disoccupati-tuona-idv-con-zipponi-e-di-pietro

E, per concludere, metto un commento di un utente, proprio alla pagina
del sito dalla quale proviene questa notizia.
Come al solito non metto i miei pareri, preferisco sapere cosa ne pensa la gente.
Dico solo che io sono propenso all' uso delle energie rinnovabili, ma non
sono uno sprovveduto e so quanto costino oggi, e quanta energia producano
in meno rispetto a quelle classiche, inquinanti, le quali ci serviamo da secoli.

"Avete voluto i pannellini e le ventoline tanto ecologiche?
L'energia costa una follia per via di queste ENERGIE PSICO-alternative.
Questo "COSTANO":
Rinnovabili, Passera: incentivi pesano su bolletta 200 miliardi
http://www.imolaoggi.it/?p=13549

Questo "PRODUCONO":
Il sole vale lo 0,6% del fabbisogno energetico nazionale. Almeno così era nel 2010, stando ai dati del Gse. Forse siamo arrivati allo 0,8 nel 2011
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/08/sole-sotto-neve/189571/

Clò: l'energia fotovoltaica costa 1000 $ al barile. Una follia per l'avanzo commerciale dell'Italia.
http://www.casaeclima.com/index.php?option=com_content&view=article&id=10061%3Aclo-razionalizzare-gli-incentivi-alle-rinnovabili&catid=48%3Aparere-di&Itemid=80

Dall'ALCOA si vedono le pale eoliche, bene ..:
Per guadagnare sui certificati verdi è sufficiente la licenza, NON SERVE NEMMENO che l`impianto a pale sia in funzione.
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=54709564

Avete voluto la GREEN ECONOMY?
Ora ve la prendete con l'ALCOA che giustamente CHIUDE e delocalizza in un paese in cui l'energia costa NIENTE?

Strano che siano diretti in Arabia soffocata anche essa dal protocollo di Kyoto.

Il ‘Cap-and-Trade’ del CO2 l è un meccanismo geniale per riempire le tasche di pochi furbi con i soldi dei contribuenti europei (ma soprattutto italiani) e fornire visibilità a politici cinici ed irresponsabili, senza tuttavia apportare alcun beneficio misurabile all’ambiente.
E’ un meccanismo che deprime le già depresse economie europee.
E che rende ancor più appetibile la delocalizzazione delle industrie verso i paesi non soggetti ai vincoli del Protocollo di Kyoto ( che sono in tutto 155).
http://www.thefrontpage.it/2011/07/02/il-cap-and-trade-del-co2/
"

Commenti

  1. Ovvio che chiudano: non guadagnano più quel che prima guadagnavano.
    Questo è un esempio perfetto di cosa può succedere con la libera economia quando hai un governo, anzi più d'uno, inetto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. 50% e 50%.
      Spesso un privato pensa solo ai suoi interessi,
      e contemporaneamente lo Stato spende soldi
      a cacchio e alla fine si trova con debiti e disoccupazione
      ( sempre a carico del popolo.

      Elimina

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