L'ultimo cittadino dell'Aquila "Così è diventata come Pompei"



Parla il professore che ha deciso di restare nella città disastrata:
"A Berlusconi importava solo di far dimenticare la tragedia e di costruire la new town. Così ci hanno praticamente costretti ad andar via. Ma troppi hanno accettato supinamente".
E di ricostruire nessuno parla più

L'AQUILA - E' sempre un colpo al cuore, entrare nel centro storico dell'Aquila. Hai l'autorizzazione, la mostri ai soldati armati che per un attimo scendono dalla camionetta, ma ti senti un intruso. Ti sembra di entrare, non invitato, in casa d'altri, violando la loro intimità. Gli "altri" - gli abitanti di questa città fantasma - non ci sono. Ma puoi guardare i loro abiti nei loro armadi, la scatolette di tonno, i biscotti e i pacchi di spaghetti nelle loro cucine. Puoi leggere i loro libri caduti da scaffali del Settecento o da librerie dell'Ikea, sopravvissuti al gelo e ai temporali di due inverni e di due estati. Tutto come in quella mattina del 6 aprile 2009, quando il terremoto era arrivato da poche ore. L'unica differenza, in questo film angosciante, è la colonna sonora. Quella mattina c'erano le sirene, le grida, le preghiere, le urla di madri che cercavano i figli. Oggi c'è il silenzio assoluto. E ti chiedi: perché qui è tutto come allora?

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